domenica 15 novembre 2009

Incivile pensare ai detenuti prima che alle vittime

La mia libertà finisce dove inizia quella altrui. Un principio semplice, che ci insegnavano da bambini, ma che disegna perfettamente i confini della nostra sfera sociale personale.
In base a questo semplice principio, parlando di sicurezza, non mi farei troppi problemi. Dovrei ricordare anzitutto che un detenuto viene privato della sua libertà proprio per tutelare quella altrui. Indulti, amnistie, leggi e leggine salva-condotto, non fanno altro che sovvertire questo semplice principio, che in fondo, è ben radicato in ognuno di noi.
In Italia ci sono 24 mila posti per la detenzione. Ma i reati e i rei sono molti molti di più. Da qui il problema di sconti di pena, di arresti domiciliari, di indulti e amnistie. Io non ci sto. Se anche i rei, i condannati, i detenuti, fossero un milione il principio base andrebbe sempre applicato. A questi viene tolta la libertà proprio per tutelare quella altrui. 50 mila, 100 mila o anche un milione che siano, vengono “emarginati” dalla società e privati della libertà per tutelare gli altri, che il principio base non hanno violato.
Ma le condizioni di vita dei detenuti, se sono troppi, diventano insostenibili. E chi se ne frega! Prima mi preoccupo di tutelare coloro che la libertà se la sono tenuta ben stretta. Poi, se avanza, penserò alle condizioni di vita degli altri, dei detenuti.
Le carceri sono strapiene. E chi se ne frega!!! Facciamogli fare i turni per lo stesso letto. Altro che televisione e svago. Una società non è civile quando un detenuto, privato della sua libertà perché ha leso quella altrui, vive in condizioni di vita migliori di chi la libertà altrui non l’ha mai violata.
Non capisco perché ci si faccia tanta pena per chi una pena deve scontarla. Non è civile. Ormai si pensa piuttosto a tutelare i diritti di chi viola le libertà altrui che delle vittime. Guardavo l’altro giorno un intervista di una delle vittime di Cesare Battisti, il terrorista detenuto nelle carceri brasiliane. In Italia non esiste più l’ergastolo. Eppure quella vittima per il resto della sua vita è condannato su una sedia a rotelle. Il figlio del gioielliere non cammina più dagli anni settanta, quando cioè Battisti andò a riempire il suo portafoglio e quello della sua organizzazione criminosa, con i denari del gioielliere. Uccise il padre, e altri due, e negò per sempre al figlio di quel gioielliere la libertà di correre, di camminare. E’ più civile preoccuparsi di Battisti o del figlio del gioielliere? E’ più civile preoccuparsi della condizioni di detenzione di Battisti o delle condizioni di vita della sua vittima, orfano e sulla sedia a rotelle.
Personalmente di Battisti non me ne frega nulla. Ha sbagliato. La società in cui ha sbagliato ha deciso che deve restare per il resto dei suoi giorni privo della libertà. Ci resti, a qualsiasi costo e in qualsiasi condizione. Se quella società che l’ha condannato è davvero civile prima si preoccupa delle sue vittime. Poi, se avanza, si preoccuperà del suo carnefice.
Certezza della pena. Altro che sconti, buona condotta e arresti domiciliari. In Italia ci sono ben tre gradi di giudizio. Tre corti, tre magistrati decidono quale sia la pena da applicare. Poi esiste il tribunale di sorveglianza, un quarto grado di giudizio che cancella i tre gradi precedenti. Un quarto grado di giudizio sulla detenzione che, se esemplare, merita sconti di pena, alla faccia di quanto deciso dagli altri tre tribunali. E poi i magistrati si lamentano se qualcuno manca loro di rispetto, quando hanno in casa chi scredita quotidianamente il loro operato.
E così in Italia uno che ammazza dopo quindici anni al massimo torna in libertà. Uno che ammazza, che priva qualcuno della sua libertà per sempre, dopo quindici anni al massimo ha pagato il suo conto. Civile vero? Eppure è così. La società decide di dargli il massimo. Nei tre gradi di giudizio viene riconosciuto colpevole. La condanna è trent’anni. Ma ha ammesso la sua colpa, ha patteggiato, magari ha anche spiegato come e perché ha ucciso. Allora la società gli sconta un terzo della pena, dieci anni in meno. Poi arriva il tribunale di sorveglianza, quell’organo che giudica il comportamento del detenuto. Esemplare. Dopo qualche anno prime uscite premio. Poi magari libertà di giorno con obbligo di rientro solo alla sera. E magari questo torna sempre: bravo, sconto di pena! Dopo dodici anni esce e se ne va, ha pagato il conto con la giustizia. Civile vero? Magari ha ammazzato tuo figlio.
Ecco il quarto grado di giudizio. Gli avete dato vent’anni? E io gliene faccio fare dieci, tiè!!!
Personalmente sarei per la pena di morte. Evitando pericolose implicazioni filosofiche, faccio solo i conti della serva. Un detenuto costa allo stato più di 450 euro al giorno: troppo. Che senso ha sostenere un così alto costo per non rimetterlo mai più in libertà? Un proiettile non costa nemmeno un euro. Fatto!
E comunque sarei per la certezza della pena. Prendi dieci anni? Fai dieci anni. Ma non c'è posto, non ha un letto, non può guardare la televisione, non ha un libro da leggere. Pazienza. La priorità sono i dieci anni senza libertà per tutelare la libertà altrui. Questo è civile!!!

1 commento:

  1. secondo il mio modesto parere...hai qualche problema se pensi realmente quanto hai scritto. Vorrei solo una cosa, che tu -per errore si intende- possa essere arrestato e in regime di custodia cautelare in carecere preventiva, tu debba vivere un anno in galera e non privato della libertà perchè nelle galere vieni privato solo della dignità di essere unamo, dopo un anno di preventiva se ti va bene forse, probabilmente la magistratura ammetterà che si è sbagliata! Rileggi quello che hai scritto IGNORANTE

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